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venerdì 11 gennaio 2013

Vincenzo e "u mazzamareje"

Di seguito troverete un piccolo racconto scritto da Marco Del Mastro. Il protagonista è "u mazzamareje", un personaggio fantastico riconducibile ad un folletto. 
Tanti di noi hanno avuto la fortuna di sentirsi raccontare dai propri nonni, storie di fantasia con al centro il famoso personaggio, racconti che per noi campogiovesi, non potevano trovare altra collocazione che nei boschi circondanti il paese. 
Una testimonianza (senza indulgere in facili accenti nostalgici) di quanto nel passato, aiutati da uno stile di vita più semplice e sereno, l'attività di immaginazione fosse senza dubbio, una piacevole e praticata attività. 


di Marco Del Mastro

Era il periodo autunnale, erano i giorni dopo le feste patronali, Vincenzo, come suo solito, andò a fare la provviste per il fuoco. Prese la stradina brecciata, comoda da percorrere che dal paese portava al bosco. 
Si munì di ascia e roncola e cominciò a camminare. Arrivò in un punto dove la vegetazione era rigogliosa  anche se ormai secca visto che era autunno. Gli arbusti in quel punto erano sottili, allora Vincenzo prese la roncola e cominciò a tagliare. Terminato il lavoro, riordinò le ceppe (1) e ne fece una fascina. 
Prima di riprendere la strada che portava al paese, decise di fumarsi un sigaro appoggiato ad un albero a pochi metri da dove prima aveva tagliato legna. Era l'imbrunire, il bosco aveva assunto un aspetto quasi lugubre e scuro, ma Vincenzo di questo non pareva preoccuparsi. 
Ad un tratto, dietro di sé, sentì le foglie muoversi, non si voltò, credendo che quel rumore fosse stato provocato da un animale, poteva essere stato un cinghiale o un cervo. Spense il sigaro, lo rimise in tasca e fece per riprendere le sue ceppe, che però... erano sparite! Dapprima pensò che qualcuno fosse riuscito abilmente a rubarle, mentre ragionava così, ecco che tra i fitti arbusti intravide una figura brutta ma che destava una forte simpatia, pian piano si avvicinava a lui, questa figura era bassa, sdentata, con i capelli tutti arruffati e vesti logore, man mano che si approssimava a Vincenzo, era sempre più nitido il suono del suo fischiettare, un suono intervallato da risa, era "u mazzamareje". 
Spariva e ricompariva all'improvviso, con grande abilità, in mano aveva dei campanelli che agitava di continuo, parlava ma non si comprendeva nulla di quanto dicesse... Vincenzo, sebbene timoroso, messa la mano sulla roncola cercò di scacciarlo, sapeva infatti che quel folletto poteva portare solo un grande scompiglio. "U mazzamareje" sparì, Vincenzo allora, di nuovo tranquillo, riprese la strada di casa. Giunto davanti alla porta, prese la chiave ed entrò in casa, aveva fame, aprì la mejse (2) ed ecco che d'improvviso davanti a sé vide spuntare di nuovo "u mazzamereje", il quale prendendo a parlare gli disse: "Tu m si scacciat, t pozza coje la mala sort" ("Mi hai scacciato via, d'ora in poi possa coglierti la mala sorte"), subito dopo queste parole il folletto sparì di nuovo dalla vista di Vincenzo il quale non volle dare nessun peso alle sue parole, se ne andò così a dormire. 
Dopo la mezzanotte, quando ormai Vincenzo era già ben che addormentato, il dispettoso folletto iniziò a buttar giù tutte le pentole, creando tanto baccano, la moglie si svegliò a causa di tutto quel rumore, andò subito in cucina per capire cosa stesse accadendo... Tutte le stoviglie erano a terra, la cucina era un disordine completo, con grande pazienza rimise tutto in ordine e tornò a letto... Qui il suo Vincenzo era alle prese con le coperte che l'indesiderato ospite aveva pensato bene di togliere dal letto, buttandole a terra... Tutta la notte trascorse così, con i due coniugi nel vano tentativo di riportare un po' di calma e serenità nella propria abitazione. 
Di giorno tutto andava liscio... Di giorno... 
La notte invece, sempre più spesso "u mazzamereje" tornava ad indispettirli...
Ma orami Vincenzo si era abituato...

(1) Ceppe: termine dialettale che indica i rami secchi di un albero, in particolare quelli utilizzati per l'accensione dei fuochi domestici.
(2) Mejse: termine anche questo dialettale che indica la credenza.

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